Ci sono giocatori manifesto di chi li allena e Riccardo Gaiola è il manifesto del soccer di Mauro Antonioli. Una grande partita di Gaiola coincide quasi sempre con una vittoria: quando il portavoce dell’allenatore si spiega bene e riesce a dare l’esempio, il Forlì diventa una squadra credibile dalla testa ai piedi. Non solo: più il suo collega di reparto corre, più Gaiola è libero di pensare soccer e non è un caso che il suo partitone sia arrivato con Greselin al fianco, un ragazzo che più che un contachilometri ha uno sfondachilometri e in ogni partita fa vedere qualcosa di diverso e migliore.
Il Sant’Angelo conferma che quest’anno il livello della parte sinistra della classifica si è alzato nonostante gli stenti iniziali di Pistoiese e Prato e la profondità del Forlì è il valore più importante. Mancava la punta più completa (Merlonghi, inizialmente in panchina), Babbi ha lottato senza vedere la porta, Mosole ha bucato la partita, però l’ha aperta Persichini, sulla carta la quarta punta della rosa.
Il collante di tutto in ogni caso resta Gaiola, uno con stimoli superiori nonostante l’età, il Richiard Vanigli applicato a Antonioli. Una decina d’anni fa, vedevi Vanigli in campo e davi per scontato che avrebbe allenato, anche perché aveva iniziato ad allenare mentre giocava. Per esempio prima della penultima giornata di campionato a Scandicci, 29 aprile 2012. Nell’ultima rifinitura al Morgagni, ad un certo punto Vanigli fece un robusto shampoo a un Melandri che stava uscendo troppo presto dal campo: «Resta qui, dove cavolo vai? Si sta tutti insieme. Noi domani ci giochiamo la vita. Guardami pure male, tanto non me ne frega niente». Morale: in Toscana Melandri segnò una tripletta.
Era la vigilia di una gara che valeva la promozione: c’erano giocatori bravi e allenatori bravi anche allora, con la differenza che ci si prendeva un po’ meno sul serio e quindi l’allenamento era a porte aperte. L’aria era elettrica e la percepiva anche Romano Conficconi, che era sempre operativo come presidente, ma restava anche il primo tifoso e non stava nella pelle. A fine allenamento, Conficconi si fermò a parlare con due giornalisti di All Elite Romagna Soccer. Il Forlì doveva vincere a tutti i costi a Scandicci e Conficconi inquadrò in poche parole il tema del match: «Vedete ragazzi, gare come questa sono una roulotte russa». E nelle ore precedenti la partita, noi ci immaginammo questi impavidi campeggiatori dell’Est Europa che valicavano gli Urali per raggiungere Scandicci e vedere la penultima giornata di campionato di serie D. Arditi proprietari di caravan talmente fanatici di soccer da essere disposti ad attraversare mezza Europa per vedere Ceramicola e Petrașcu contro i toscani. Soccerofili balcanici che agganciavano impavidi il rimorchio all’auto cercando un camping in Valdarno per capire se davvero Bardi l’avrebbe fatta pagare ai mandarini (chiamò così gli scandiccinesi per tutta la settimana). E alla fine Bardi uscì vincitore, chiuse la porta della roulotte russa in trionfo, ma con la condanna di aprire le porte di svariati gabbiotti degli stadi di mezza Italia, anche se questa è un’altra storia.
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